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rivista semestrale

anno XXXV - terza serie

numero 88

luglio/dicembre 2023

Damiano Frasca – Renzo Paris, Miss Rosselli

[ Neri Pozza, Vicenza 2020 ] 

«Uscendo di casa, l’ombra di Amelia mi balla davanti. Ed è come se mi guidasse in un luogo a lei caro. Rimugino sulla struttura di questo memoir, che somiglia a un sonoro rullo buddista, che Miss Rosselli amava far girare con i suoi versi» (p. 31). Con Miss Rosselli (qualcosa di analogo lo aveva già fatto in passato occupandosi di Moravia e Pasolini), Renzo Paris scrive un libro documentato e impor.tante su una delle maggiori voci poetiche del nostro Novecento.

I ventisette capitoli (alcuni con titoli-omaggio: «Diario ottuso», «La libellula», «Documenti») raccontano l’infanzia segnata dal trauma dell’assassinio del padre Carlo e dello zio Nello per mano dei fascisti, gli anni in giro per il mondo da esiliata (o meglio, da apolide, come correggeva Rosselli stessa), i rapporti con il cugino Aldo, ma anche con il parente Alberto Moravia, gli «amorastri», la dolorosissima malattia (la «“schizofrenia paranoide” di Amelia, che lei, per pudore, declinava in “morbo di Parkinson”», p. 37), i decenni romani con i traslochi, fino al trasferimento nella soffitta in via del Corallo, dove avvenne il suicidio. Nel corso delle pagine, più volte Paris confida al lettore di scrivere per saldare un conto, per liberarsi di un revenant pronto a braccarlo: «Da quando ho cominciato a scrivere, l’ombra di Amelia Rosselli, come sapete, è venuta più volte a ballare nella mia immaginazione» (p. 155).

Ecco allora la contraddizione di chi è costretto a ricostruire, ricordare, riavvicinarsi, per allontanare, «Questa non è una biografia di Amelia, è piuttosto la rievocazione della sua persona, e al tempo stesso il tentativo di allontanare la sua ombra» (pp. 155-156). La scrittura nasce dal privilegio di aver avuto un rapporto esclusivo con Rosselli, una duratura (e invidiabile) amicizia che, a venticinque anni dalla morte dell’amica, diventa l’investitura di un biografo ansioso di ribadire che non sta componendo una biografia. Paris parla per Miss Rosselli di memoir; àncora alcuni capitoli a luoghi e date, come in un diario personale («Roma, 11 febbraio 2016»; «Roma, 7 settembre 2018»; «Roma, ottobre 2018»; «Roma, 11 febbraio 2019»); si concede affondi saggistici, con convincenti rilievi interpretativi dei testi rosselliani; chiude l’Appendice – e quindi l’intero libro – con una frase che potrebbe suggellare numerose biografie esposte in libreria: «Se non l’avessi mai incontrata, avrei comunque scritto di un personaggio così enigmatico». È vero, con Miss Rosselli non siamo di fronte a una biografia tradizionale. Il punto è che, al pari di tanta letteratura italiana dei nostri giorni, lo sguardo sull’altro agilmente si torce e la testimonianza diventa il lasciapassare di un io autoriale ingombrante che parla di sé. L’aneddoto in odore di pettegolezzo è la garanzia che chi scrive non inventa nulla (d’altronde forse solo la giovane studiosa chiamata proprio Amélie è un personaggio d’invenzione), ma è anche il modo per raddoppiare la celebrazione: «Al tempo di quegli incontri Amelia aveva trentasette anni e io ventiquattro. Oggi posso dire che assomigliavo al suo Rocco. Venivo dal sud anch’io, ero un rivoltato e scrivevo poesie» (p. 158). Si ritrovano così le immancabili pagine sul trauma del Primo festival internazionale dei poeti a Castelporziano e il rimpianto nostalgico di Paris per un’epoca che non c’è più: «Erano innocui sberleffi per una società letteraria ormai agli sgoccioli e non si vedeva chi avrebbe preso il nostro posto» (p. 199).

Le pagine più belle di Miss Rosselli sono altre. Sono quelle in cui l’autore retrocede e i giovani che occupano la scena sono la poetessa e Rocco Scotellaro, con Amelia che si fa chiamare con il nome della madre e, innamoratasi, può amare ancora il padre: «C’è una foto che li ritrae subito dopo il convegno di Venezia, a Roma accanto ai leoni di piazza del Popolo. Rocco la guardava come fosse la Sibilla e la Gorgone insieme e Amelia rispondeva con un viso lieto, le guance gonfiette, una camicetta e una gonna blu, il suo colore preferito, che arrivava fin sotto il ginocchio» (p. 97).

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